Luisa Mè

Luca Colagiacomo
Francesco Pasquini


Ciò che rimane


di Andrea Bruciati


“L’individuo che non ha messo a repentaglio la propria vita, può bene venire riconosciuto come persona; ma non ha raggiunto la verità di questo riconoscimento come riconoscimento di autocoscienza indipendente.”

G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, in Eleonora Caramelli, Eredità del sensibile: la proposizione speculativa nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, Il mulino, Bologna 2015.



Le contraddizioni che lacerano il nostro tempo e le inarrestabili aritmie storico-artistiche che con la loro imprevedibilità turbano qualsiasi attesa elevano la dissonanza a emblema del contemporaneo e delle sue poliedriche peripezie. Dopo la lenta agonia della leadership del bello proliferano attualmente una molteplicità di proteiforme sperimentazioni che fanno del flebile fantasma della bellezza, un’esperienza sempre più terribile e dissonante.
Lo scarto di intensità tra il sentire e l’estetica rinvia alla medesima distinzione operata nell’ambito dell’arte tra modelli contemplativi e rasserenanti, cui il soggetto può attingere per conciliarsi con la vita stessa, e spinte tendenti ad esaltare il conflitto e la lotta. Come denunciano gli artisti: “Attacco e difesa possono avere la stessa forma. Lama, tacco a spillo, borchia; ciò che punge è anche ciò che protegge. L’angolo acuto che noi trasponiamo nelle nostre opere è tensione fisica e mentale.”
L’atopia che li contraddistingue non può essere considerata il frutto di una disillusione e di un volontario isolamento, piuttosto si rivela alimentata dalla più intensa spinta pulsionale e dal più energico e pericoloso impegno. Come scrive Michelstaedter e poi Freud tutti i progressi della civiltà sono regressi dell’individuo e al centro si pone l’analisi della condizione psichica del soggetto sottomesso e tiranneggiato dalla retorica della civilizzazione. Le potenzialità dell’individuo sono conculcate dalla necessità di organizzare la convivenza sociale secondo un rigido meccanismo in cui le singolarità e le pulsionalità sono represse.
Una ribellione esistenziale e filosofica che accompagna la scelta di un lavoro a due: una collaborazione che non dipende da una scelta razionale, come affermano quando descrivono il loro lavoro che “quando funziona non si sa bene il perché però si sa che tutti gli elementi del lavoro devono essere quelli e non altro.  Così lavoriamo insieme in un’astratta armonia animata da intuitività, percezione e capacità. E d’altronde occorre sorreggersi l’uno con l’altro, perché così la disperata ricerca di contatto costringe a colpire per non rimanere soli. Si attiva un ingranaggio dove ogni componente è necessaria per il proprio funzionamento così come ogni figura è indispensabile per la lotta contro la solitudine.”
Portare all’eccesso il pensiero, fare proprio il rigore implicito nel sentire, una insistente meditazione attorno ad una coerente ed improcrastinabile decisione ultima, ma mai definitiva.